PGPR per contrastare lo stress salino

Si definisce salinizzazione il fenomeno che determina un accumulo eccessivo di sali nei suoli, in particolare di Solfati, Nitrati, Cloruri e Bicarbonati di Sodio, Calcio e Magnesio, con conseguenze estremamente negative per la vitalità delle piante in generale e per la produttività delle piante coltivate. Si calcola che ogni anno nel mondo venga degradata dalla salinizzazione una percentuale delle terre fertili pari all’1-2% e che il 20% dei terreni irrigati possa già dirsi salina.

 

Le cause della salinizzazione

La presenza naturale di sali minerali nei suoli, dovuta essenzialmente alla disgregazione delle rocce da cui i terreni hanno avuto origine, è alla base della loro fertilità chimica. Tuttavia, per effetto di fattori di tipo ambientale e antropico la concentrazione di alcuni sali può salire oltre valori tollerabili dalle piante.
Lo sfruttamento intensivo delle acque dolci per scopi agricoli, industriali e domestici ha portato negli anni a un abbassamento del livello delle falde, che induce il fenomeno della cosiddetta intrusione marina ovvero il richiamo di acqua salata verso i bacini di acqua dolce. Per effetto di questo fenomeno, particolarmente sentito nelle zone costiere di tutti i Paesi europei, le acque di irrigazione impiegate in agricoltura presentano spesso un contenuto eccessivo di sali, che vengono distribuiti agli strati più superficiali del suolo.
A ciò si aggiunga il fatto che la siccità che sempre più frequentemente accompagna le annate agrarie, determinando un’accelerata evaporazione di acqua dal suolo porta all’ulteriore concentrazione dei sali presenti, provenienti sia da acque irrigue non idonee, sia da pratiche irrazionali di concimazione, in particolare con prodotti minerali.
La complessità delle cause che determinano la salinizzazione sta portando il fenomeno, complice cambiamento climatico, a interessare suoli anche distanti dalle coste.

 

Che conseguenze ha la salinizzazione del suolo sulle colture?

La pianta le cui radici affondano in un terreno salino subisce una pressione osmotica elevata che rende difficoltoso l’approvvigionamento idrico. Subentrano inoltre squilibri nutrizionali che deprimono quantità e qualità delle produzioni. L’eccesso di Sodio, per esempio, riduce la disponibilità di Potassio, che è uno dei principali elementi della osmoregolazione nelle piante. Tale condizione deprime ulteriormente la capacità della pianta di reagire allo stress salino. L’eccesso di sali può anche determinare fenomeni di fitotossicità.

L’effetto della salinità del suolo sulle piante dipende dalla sensibilità delle specie, dal tipo e dalla concentrazione di sale, dalle pratiche agronomiche e dall’esistenza di ulteriori fattori di stress. Alcune orticole (pomodori, patate, lattuga, spinaci) e cerealicole (riso, mais, grano, legumi) sono note per essere decisamente sensibili alla salinità.

Da cosa dipende questa sensibilità?

Glicofite e alofite

Come spiegano S. Shilev in una pubblicazione del 2020, dal punto di vista del loro comportamento in suoli salini, le piante vengono classificate in glicofite (sensibili alla salinità) e alofite (resistenti/tolleranti).

Le glicofite cercano di escludere i sali dalle cellule radicali per sopravvivere e ridurre l’effetto dello stress, mentre le alofite accumulano i sali nei loro tessuti, principalmente nelle foglie, attraverso il flusso xilematico.

Le alofite possono essere a loro volta classificate in tre gruppi principali: obbligate, facoltative e indifferenti. Le alofite obbligate (Chenopodiaceae) necessitano di sale per vivere e completare il loro ciclo biologico, e alcune di esse sono classificate come estremofile; le alofite facoltative tollerano determinate concentrazioni di sali e possono vegetare in terreni salini, raggiungendo però la massima resa e crescita in terreni privi di sale. Le indifferenti non modificano la propria fisiologia in presenza di salinità nel suolo.

Le alofite utilizzano diversi meccanismi per adattarsi agli ambienti salini, tra cui: la modulazione dei livelli di sintesi di ormoni; la produzione di osmoprotettori; la modulazione del rapporto K+/Na+ verso alti valori; l’assorbimento o l’eliminazione selettivi di ioni; la produzione di composti antiossidanti; la modulazione dell’attività fotosintetica e molti altri, tra cui lo sfruttamento dell’effetto biostimolante di batteri normalmente presenti nelle loro rizosfere, in quanto a loro volta alofili o alotolleranti.

Batteri del suolo e salinità

I microrganismi, così come le piante, hanno sviluppato diversi meccanismi di adattamento allo stress da salinità e possono essere caratterizzati come alotolleranti o alofili.

Gli alotolleranti possono crescere sia in presenza di alte concentrazioni di Cloruro di sodio nel terreno di coltura sia in assenza di esso; pertanto, non “hanno bisogno” del sale, ma lo tollerano. Gli alofili, invece, necessitano di Na+ per il loro metabolismo e sviluppo.

Tra i PGPR (Plant Growth Promoting Rhizobacteria) più comuni nel suolo e noti per i loro effetti benefici sulle piante, ma anche in grado di tollerare elevati stress salini (1-15% di NaCl) e al contempo aiutare le piante a fare altrettanto, vi sono specie come Bacillus subtilis, Pseudomonas fluorescens, Bacillus amyloliquefaciens, Bacillus megaterium e Azotobacter spp.

 

PGPR per ridurre lo stress salino

In diversi studi, queste specie sono risultate in grado di migliorare lo sviluppo, la produttività e la tolleranza al cloruro di sodio in mais, grano, orzo, riso, soia, girasole e pomodoro.

La loro azione si basa su diversi meccanismi, tra cui:

  • la produzione di fitormoni (auxine, gibberelline e altri), che vengono riversati all’esterno della cellula e assorbiti dalle radici delle piante;
  • l’incremento di disponibilità di nutrienti per le piante (solubilizzazione del Fosforo, mobilizzazione del Ferro, fissazione dell’Azoto etc.), con conseguente riduzione degli squilibri nutrizionali tipicamente associati allo stress salino;
  • produzione di osmoliti. I PGPR possono regolare il potenziale idrico e l’apertura stomatica delle piante attraverso l’accumulo di diversi composti organici a effetto osmotico, come zuccheri, aminoacidi, alcoli e glicerolo. Si comporta in questo modo, per esempio, megaterium nella rizosfera del mais.
  • Omeostasi ionica della pianta: i PGPR alotolleranti aumentano l’assorbimento di K+ da parte della pianta stimolando la up-regulation (intensificazione della sintesi) di un trasportatore di K+ e e al contempo riducendo l’accumulo di Na+ nelle foglie; di conseguenza, il rapporto K+/Na+ Hanno un’azione di questo tipo i batteri del genere Azotobacter.
  • Produzione di sostanze polimeriche extracellulari (EPS): i PGPR secernono diversi biopolimeri (polisaccaridi, poliesteri, poliammidi) nell’ambiente circostante; tali sostanze legano cationi come il Na+ diminuendone la biodisponibilità. Queste EPS aiutano i PGPR a sopravvivere in ambienti salini e a stabilire relazioni utili con le radici delle piante, pertanto la maggior parte dei batteri alotolleranti possiede la capacità di espellere tali composti. Naturalmente, la composizione degli EPS escreti dalle cellule del PGPR varia a seconda dei generi e delle specie e cambia con il tempo, le condizioni ambientali e le circostanze. Ci sono dati che indicano che gli EPS migliorino l’assorbimento dei nutrienti e il potenziale idrico nella rizosfera. Certamente i biofilm a base di EPS prodotti dai PGPR proteggono le radici dall’essiccazione.

 

Relazioni da approfondire

Quelle riportati sono solo alcuni degli effetti benefici che i PGPR possono avere sulla vitalità delle coltivazioni in suoli salini. In realtà si tratta di un argomento ancora ampiamente da approfondire e di particolare interesse, in considerazione della diffusione crescente del problema della salinizzazione dei suoli agrari.

 


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